sabato 12 novembre 2016

7 MINUTI

(id.)
regia: Michele Placido (Italia, 2016)
cast: Ottavia Piccolo, Fiorella Mannoia, Ambra Angiolini, Violante Placido, Cristiana Capotondi, Maria Nazionale, Clemence Poesy, Balkissa Maiga, Erika D'Ambrosio, Luisa Cattaneo, Sabine Timoteo
sceneggiatura: Michele Placido, Stefano Massini, Toni Trupia
fotografia: Arnaldo Catinari
scenografia: Lily Pungitore, Nino Formica
montaggio: Consuelo Catucci
musica: Paolo Buonvino
durata: 88 minuti
giudizio: 

trama: Una fabbrica tessile a conduzione familiare viene venduta a una multinazionale francese, con comprensibile preoccupazione del personale dipendente (tutto femminile). Alla riunione decisiva, quella per la cessione delle quote, partecipa anche Bianca, l'operaia più anziana, in rappresentanza delle lavoratrici. Molte ore dopo, l'esito della trattativa sembra apparentemente favorevole: i posti di lavoro sono salvi, l'unica condizione imposta dei nuovi proprietari è una riduzione di sette minuti della pausa pranzo... 


dico la mia: Fino a che punto si è disposti ad arrivare per difendere il proprio posto di lavoro? Che cosa succede quando i diritti dei lavoratori vengono messi in discussione? E qual è il confine tra negoziato e dignità? Michele Placido riporta al cinema la classe operaia e solo per questo merita la nostra stima: con i tempi che corrono, e in un paese dove ormai nessuno o quasi ricorda che esiste ancora uno Statuto dei Lavoratori (nemmeno i lavoratori stessi, ormai talmente abituati ai ricatti padronali da essersi, purtroppo, abituati allo sfruttamento), girare un film come questo sembra davvero un'avventura donchisciottesca... eppure Dio solo sa quanto è necessario!

Se infatti nelle altre cinematografie europee c'è ancora un minimo di spazio per il cinema militante, quello che prova a dar voce a chi di solito è "invisibile" (pensiamo ovviamente a Ken Loach, ma anche ai Dardenne, Brizè, Audiard, Leigh...) e se perfino negli Stati Uniti, il tempio del capitalismo, c'è ancora chi è capace di gettare uno sguardo verso chi diritti non ne ha (penso, ad esempio, in questo clima elettorale, a Nebraska di Alexander Payne), in Italia il concetto di lotta di classe è ormai evaporato, venuto meno per manifesta assuefazione di una classe lavoratrice che accetta sempre tutto e sempre troppo passivamente. Intendiamoci, il compito del cinema non è quello di individuare i colpevoli (ognuno scelga il suo bersaglio preferito: sindacati, padroni, politici...) bensì evidenziare un problema, cosa che nel nostro paese nessuno fa più: una vergogna, se pensiamo ad autori come Elio Petri, Gianfranco Rosi, Ermanno Olmi, Ettore Scola o Pietro Germi, simboli di un passato artistico e glorioso che pare distante anni luce.

7 minuti mette in scena il travaglio personale di undici donne (le componenti del consiglio di fabbrica) messe di fronte alla scelta se accettare le condizioni poste dall'azienda oppure rischiare il posto di lavoro. La scelta in apparenza sembra scontata: rinunciare ad appena sette minuti di pausa pranzo a fronte di nessun licenziamento ed il rispetto dei contratti. Una richiesta in apparenza innocua eppure subdola, quasi un "test" da parte della nuova proprietà per tastare il terreno, una specie di grimaldello che potrebbe scardinare in futuro diritti ben più dolorosi e minare l'unità delle lavoratrici. E infatti, non a caso, le divisioni appaiono subito evidenti: c'è l'operaia più anziana (Ottavia Piccolo) che, memore di un passato di lotte, mette in guardia le compagne più giovani dall'accettare. C'è la coatta sempre incazzata ma dal carattere fragile (Ambra Angiolini) che non si rassegna al ricatto. C'è la napoletana sguaiata con marito disoccupato e quattro figli da mantenere (Maria Nazionale) che invece non vuole sentire parlare di rifiuto, così come (quasi) tutte le altre: l'impiegata paraplegica (Violante Placido), la ragazza incinta (Cristiana Capotondi), la straniera di colore scappata dalla guerra, l'extracomunitaria dell'est molestata dal padrone...

Il film di Placido ha il merito di fotografare bene il mondo del lavoro di oggi: un "sistema" dove la crisi economica e l'incertezza nel futuro spingono i lavoratori ad accettare tutto, a qualsiasi condizione, inghiottendo bocconi amari. E' un film sulla fine di un'epoca e, quel che è peggio, sul crollo della solidarietà tra le classi lavoratrici e sulla logica del tutti contro tutti, il famoso dividi et impera che pare il motto dei nuovi padroni. Tra l'altro la vicenda è ispirata a una storia vera, avvenuta in Francia nel 2012 e conclusasi positivamente dopo una durissima battaglia sindacale: una storia che in seguito è diventata anche uno spettacolo teatrale portato sul palco da Stefano Massini, da cui Placido ha voluto assolutamente trarre la versione cinematografica.

E qui arrivano le uniche (ma evidenti) perplessità tecniche di quest'operazione: Placido ha affidato la sceneggiatura del film allo stesso Massini, il quale però non è riuscito ad adattare bene il suo script alle logiche del grande schermo, limitandosi a limare appena un copione già esistente e collaudato. Il problema è che il linguaggio teatrale non si sposa per niente con il realismo imposto dal cinema, specie in casi come questo, e il risultato finale è una sceneggiatura zeppa di retorica, enfatica, piena di isterismi, dialoghi innaturali ed artefatti, discorsi irrealistici sui massimi sistemi che nessuno si sognerebbe di ascoltare a un'assemblea di fabbrica... il canovaccio, poi, rifà platealmente il verso a La parola ai giurati di Sidney Lumet, dove una componente dell'assemblea (nella fattispecie la "veterana" Ottavia Piccolo, sola contro tutte) cerca di convincere una ad una le altre dieci ragazze del consiglio di fabbrica a votare NO all'accordo.

Come va a finire ovviamente non ve lo dico, però consiglio a tutti di vederlo questo film: perchè, al netto dei difetti (oggettivi) che vi ho appena elencato, è comunque una pellicola che fa riflettere e discutere su temi importanti oltre a riaccendere i riflettori sul tema del lavoro, argomento che, invece, come dicevo sopra in Italia è ormai quasi tabu. Michele Placido non ha certamente la rabbia e il talento di Ken Loach, e nemmeno la lucida drammaticità dei Dardenne e di Brizè nel fotografare certe situazioni, ma la pellicola è interessante e anche ben recitata da tutte le protagoniste. Con menzione speciale per Fiorella Mannoia, capace di interpretare un ruolo difficile con la professionalità e il talento da attrice navigata.

11 commenti:

  1. M'ispira parecchio. :)
    Sul tema, anche se con più leggerezza, avevo apprezzato Gli ultimi saranno ultimi. Una Cortellesi gigantesca. Peccato, però, per il cambio di finale: la pièce teatrale - praticamente, un one woman show - era più amara, più vera senz'altro.

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    1. Devo essere sincero, la Cortellesi non mi è mai stata troppo simpatica... e quindi non ho visto "Gli ultimi saranno ultimi". Ad ogni modo questo è decisamente un film corale, con tutte protagoniste donne (nota di merito per Placido). Penso che potrebbe piacerti.

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  2. Non male. Placido alterna buoni film a cazzate clamorose: questo per fortuna appartiene alla prima categoria. Film impegnato e con ottime intepretazioni, davvero sorprendente Ambra

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    1. Sì, concordo: le attrici sono tutte brave, anche le "insospettabili" come Ambra e la Capotondi. Merita la visione.

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  3. Ottima recensione, come al solito. Hai ragione, film come questo sono (anzi sarebbero) davvero necessari se solo in Italia esistesse ancora una cultura del lavoro. Invece stiamo tutti ad azzuffarci come lupi per fare lavorucoli da fame. Mi sento molto coinvolto da 'sta cosa, da troppo tempo purtroppo.
    Ma non volevo parlare di me, solo farti i complimenti. Come al solito.
    Un abbraccio.
    Mauro

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    1. Non c'è nessun problema, Mauro. Figurati. Qui sopra ognuno può scrivere quello che vuole (nei limiti della decenza) ci mancherebbe altro! Capisco benissimo la tua situazione e spero che tu mi dia buone notizie prima possibile. Quello che dici è purtroppo giusto e sotto gli occhi di tutti. Ti ringrazio per i complimenti, sei sempre gentilissimo e disponibile.
      Un abbraccio anche a te.

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  4. O mangi sta' minestra , o salti dalla finestra. E' così che è andata a finire. Puoi anche lottare quanto vuoi, ma quando poi salti dalla finestra sono cazzi così amari, che quella minestra schifosa la rimpiangi eccome. Meno male che qualcuno si ricorda della classe operaia, sperem che oltre al cinema se ne ricordi anche la società che sta andando per il collasso senza accorgersene...

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    1. Eh sì, c'è poco da aggiungere (purtroppo...)

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    2. Pardon, volevo dire 'sta andando verso il collasso', ma il concetto rimane quello! :)

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  5. Mi ispira molto ma per il momento il mio cinema non lo ha ancora dato ;(

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    1. Spero che arrivi. Qui in Toscana la distribuzione è stata abbastanza buona, non mi posso lamentare. Il problema è che da ora fino a capodanno escono tantissimi film ed è dura trovare il posto per tutti...

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