martedì 14 febbraio 2023

TUTTA LA BELLEZZA E IL DOLORE


titolo originale: ALL THE BEAUTY AND THE BLOODSHED (USA, 2022)
regia: LAURA POITRAS
sceneggiatura: LAURA POITRAS
cast: NAN GOLDIN
durata: 122 minuti
giudizio: 



Vita, opere e attivismo sociale della fotografa statunitense Nan Goldin, nota in patria per le sue battaglie in favore dei diritti civili e della libertà sessuale, oltre che per aver manifestato contro le grandi multinazionali del farmaco, colpevoli di aver abusato del loro potere dominante per legalizzare, di fatto, l'uso smodato di oppiacei (farmaci analgesici che creano dipendenza nei pazienti, ovviamente a loro insaputa...) 




E' uscito al cinema ieri e starà in sala per altri due giorni appena, prima di essere dirottato su qualche piattaforma di nicchia. "Uscito" per modo dire, dato che gli schermi che lo proiettano sono solo una cinquantina in tutta Italia, perlopiù nelle grandi città. E' il (triste?) destino dell'ultimo Leone d'oro di Venezia, Tutta la bellezza e il dolore, documentario impegnato e impegnativo della regista premio Oscar Laura Poitras su Nan Goldin, apprezzata fotografa di reportage nonchè attivista per i diritti umani (in particolar modo nel proprio paese, gli Stati Uniti) che, con grande sorpresa, lo scorso settembre si è aggiudicato il premio più ambito della rassegna lidense. 

Un premio che ai più, compreso chi scrive, è parso esagerato, fin troppo generoso e frutto di logiche non strettamente artistiche... vero è che l'ultimo concorso veneziano non è stato eccezionale dal punto di vista qualitativo, con pochi titoli degni di nota, il terreno ideale per premiare una "sorpresa" come questo film che nessuno alla vigilia, nemmeno il più alternativo degli scommettitori avrebbe preso in considerazione. Eppure la giurìa del Concorso non era composta proprio da sprovveduti: c'era perfino un Premio Nobel per la letteratura come Kazuo Ishiguro, ma soprattutto c'erano due signore come la star hollywoodiana Julianne Moore e la regista Audrey Diwan (che guardacaso aveva vinto il Leone d'oro l'anno prima con un film pro-aborto) pronte a premiare un'opera fieramente femminista e dichiaratamente politica come questa, come in effetti è stato.

Tutta la bellezza e il dolore non è altro infatti che un lungo ritratto (dura due ore esatte, troppe) della fotografa americana Nan Goldin, "pasionaria" dei diritti lgbt (è lesbica dichiarata) nonchè autrice di tanti scatti famosi nella New York dei primi anni '80, quelli dell'edonismo reaganiano, del machismo conservatore, delle libertà sessuali, ma soprattutto delle dipendenze di ogni tipo (le droghe prima di tutto) che cominciavano a lasciare strascichi pesanti come l'AIDS e le relative storie di abbandono, solitudine ed emarginazione. Erano gli anni in cui le grandi multinazionali del farmaco iniziavano a dettare legge con il loro strapotere produttivo condizionando le scelte dei governi di tutto il mondo, Stati Uniti compresi. Goldin punta il dito in particolar modo contro la famiglia Sackler, rea di aver immesso sul mercato una serie di prodotti medicinali a base di oppiacei che, inconsapevolmente, creavano dipendenza al malcapitato cui venivano somministrati. Una prassi difficile da dimostrare e quasi impossibile da impedire, di cui Goldin ha fatto una ragione di vita.

Non solo: la Sackler era ai tempi uno dei principali finanziatori della cultura americana, che elargiva munifiche sovvenzioni a quasi tutti i più importanti musei del mondo, dal Louvre al Guggenheim, dal Metropolitan Museum of Art al Victoria Museum, così da crearsi un' aura "benefattrice" senza destare sospetti: Goldin, in seguito a lunghi anni di battaglie e dimostrazioni ad effetto (incatenandosi agli ingressi, lanciando pillole sulle opere d'arte, diffondendo opuscoli e volantini ai visitatori) riuscirà a convincere quasi tutte queste istituzioni culturali a rinunciare ai soldi sporchi di Big Pharma, vincendo svariate cause legali e recuperando anche parte del maltolto. Vittorie importanti, sofferte, ottenute nel nome della sorella Barbara, morta suicida nel 1968 in seguito a depressione in un ospedale psichiatrico (in cui venne rinchiusa per le sue "spregiudicate" condotte sessuali e imbottita di oppiacei fino alla lobotomia), alla cui memoria si riferisce il titolo del film.

Un film che però, dispiace dirlo, non si rivela all'altezza dei contenuti. Per quanto importante possa essere infatti il messaggio che porta, il documentario della Potrais è alquanto deludente come realizzazione: non vorrei sembrare blasfemo, ma un documentario di due ore di cui una buona metà è costituito da fotografie che scorrono in sequenza non è proprio il massimo dal punto di vista cinematografico... Tutta la bellezza e il dolore è noioso, pesantuccio, e piuttosto naif come concezione: ci sono normalissime immagini di repertorio, interviste "telefonate" alla protagonista, stanche riprese di dimostrazioni di protesta che paiono girate da un passante qualunque con una vecchia camera a mano. Nulla che ti lasci dentro, perlappunto, il dolore di una perdita e la rabbia di chi si indigna contro i colossi farmaceutici e le disparità sociali. Un approccio inadeguato, inconcludente, verso una vicenda (e una stagione storica) che avrebbero meritato una testimonianza ben più incisiva. Opinione mia, ovviamente.
 

2 commenti:

  1. peccato peccato... quando hai contenuti così importanti, rovinarli con una brutta opera.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Devo essere sincero: questo film ha avuto molte ottime recensioni ed è stata prolungata anche la permanenza in sala. Può darsi che io non l'abbia capito, oppure può darsi che il pubblico italiano abbia considerato (legittimamente) il messaggio più importante della qualità artistica. Che per me rimane bassina...

      Elimina

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...